sabato 22 febbraio 2020

La prima ma non l'ultima

Questa storia partecipa al COW-T di "Lande di Fandom" 
Settimana: terza 
Missione: M2 
Prompt:Mitologia Slava 
N° parole: 1297 

La scuola sembrava nuova, doveva ammetterlo, ma c’era qualcosa che non sapeva spiegare. Un istinto antico che le urlava di prendere sua figlia e scappare senza voltarsi indietro. Amanda Scott, stava attendendo la direttrice della nuova scuola di Rebecca per avere istruzioni sull’inserimento nell’ennesima classe. La Six Cube medical division era un gigante con ramificazioni in tutto il mondo e lei, una dirigente di medio livello, veniva spostata dove ci fossero sedi in difficoltà. Il o compito era, ufficialmente, ‘valutazione e risoluzione’ il che significava, in pratica che Amanda studiava il potenziale di crescita, il costo delle risorse umane e quanto la SCMD potesse ricavarci. Fatti i conti aveva due strade: poteva portare ‘il paziente’ in ‘sala operatoria’ o in ‘obitorio’. Dopo la crisi del 2008, sfortunatamente, era sempre più facile chiudere le filiali che cercare di salvarle. Molti dipendenti, soprattutto gli over 50 dei magazzini, finivano per strada. Quando si presentava al direttore locale tanto valeva che indossasse una palandrana nera e una falce. Sapeva, da una mail inoltrata per errore, che la chiamavano ‘la stronza rossa’. Faceva male ma non si sentiva di biasimarli. 
Il periodo di valutazione durava dai due ai quattro anni, a seconda di quanto fosse grande lo stabilimento e, come mamma single, doveva portarsi dietro il suo piccolo, dolce fagottino. Becca sembrava prendere di buon grado i trasferimenti ma questa era la prima volta che si trovavano dall’altra parte dell’oceano. Il vecchio mondo puzzava di carne di maiale alla brace, cipolla e aglio. Sembrava che anche le persone avessero quell’odore attaccato addosso. 
A pensarci bene, forse quella scuola era l’unico posto che non aveva quel tanfo fastidioso. Incredibile. Si girò a guardare sua figlia accanto a sé e la vide assorta a giocare con i suoi pupazzetti di Pretty Little Pegasus. Si distrasse un attimo a vedere quella piccola testolina bionda inventare una storia sulla principessa Caramellina rapita dal perfido drago Borbotto e sorrise alla sua innocenza. Quanto sarebbe durata ancora? 
“Signora Scott?” La interruppe una figura esile come una promessa, fasciata in un vestito blu scuro che le lasciava a malapena la possibilità di camminare.  
“Si?” Rispose Amanda per riflesso condizionato. 
“Direttrice Yaganova, buongiorno. Vuole seguirmi in ufficio?” L’accento inglese era più che discreto ma aveva una pesante inflessione est-europea che ricordava Peters Sellers nel ‘Dottor Stranamore’. 
Discussero blandamente di metodi educativi, che Amanda ascoltò in maniera distratta: in fondo non era il suo campo e aveva sentito discorsi simili almeno cinque volte negli ultimi sei anni. Mentre teneva o sguardo fisso in n punto imprecisato del volto della direttrice, fingendo interesse, le parve di cogliere un bagliore innaturale nella bocca della sua interlocutrice. Come se per un attimo i denti fossero di metallo lucente anziché una normalissima dentatura umana. Questo la scosse un po’ dal torpore e colse solo l’ultima parte di una frase 
“...questo è un ‘istituto frequentato in prevalenza da figli di diplomatici o del personale dell’ambasciata americana. A causa delle tensioni internazionali la quasi totalità degli ‘utenti’ è stata ritirata a seguito dell’evacuazione quindi Rebecca sarà sola questa settimana. Potrà godere della aria pura, distante dal centro di Warsavia. E mi occuperò personalmente delle sue esigenze, almeno fino a lunedì prossimo, quando mi ha detto che tornerà dalla sua trasferta al Nord.  Ovviamente, è un disagio che non dipende dalla sua volontà e le condizioni economiche stabilite non subiranno variazioni. Ogni promessa è un patto che deve essere onorato.” Yaganova sorrise ancora e Amanda vide di nuovo il riflesso. Quasi non ci fece caso, era concentrata su un’espressione fastidiosa: ‘utenti’ per definire bambini in età prescolare. Era fuori luogo, inusuale e senza alcun dubbio freddo. Volle sperare che fosse una sorta di distacco professionale. 
“Mi hanno detto che prima il suo asilo era in plac wolności...” 
La direttrice fece un cenno con la mano come a voler minimizzare la cosa. “Non mi giudichi classista ma diciamo che il quartiere si era... L’espressione corretta è... impoverito. Ecco.”  I denti ricordavano una tagliola. Una volta fatto caso sembrava impossibile smettere di pensarci. “Ma non si preoccupi, l’intera struttura, che ci ha resi famosi, il nostro vanto di asilo montessoriano, è stata portata qui mattone su mattone, giocattolo su giocattolo.” 
“Come se avesse messo le gambe e avesse camminato fino a qui, vero?” Interruppe Amanda. 
Yaganova rise in maniera sguiata, una reazione talmente fuori luogo sia per i modi che per la modalità, da sorprendere Amanda come se avesse ricevuto uno schiaffo. 
“Sì, sì! Esatto!” L’accento si era fatto molto molto più marcato, la frase era “Zì, Zì, ecxatto 
Amanda si stava guardando intorno con occhi diversi ed era diventato impellente capire dove fosse Rebecca. La stanza della direttrice non era più un sobrio ufficio con una pesante scrivania in mogano ma una sorta di laborario con un tavolo da lavoro macchiato e scheggiato. I vasi sulle mensole contenevano animali che Amanda non riusciva ad inteficare. Avevano tutti troppe teste o troppi arti. 
“Gli altri bambini... Non sono stati ritirati... L’ambasciata ha chiuso per questo... O forse non c’è mai stata nessuna referenza, nessuna ambasciata. Era tutto nella mia mente. Hai messo tutto nella mia mente!” 
La vecchia che aveva davanti adesso, ricordava in maniera vaga la direttrice compita di pochi minuti prima. Rideva con la testa rovesciata all’indietro e i denti di metallo (stavolta sì!) snudati in un ringhio bestiale. Adesso parlava direttamente nella sua testa con una voce rauca che dava la stessa sensazione di unghie che grattassero contro una lavagna 
“Tu vedi questo perché io voglio che tu lo veda, perché Baba Yaga vuole che tu sappia che stasera spolperò quelle tenere coscette e quello che avanza lo darò ai miei cani” Rise ancora, più forte, in una maniera che sembrava squarciarle in due il cranio. Amanda si caricò Rebecca in spalla come se fosse un sacco tra le urla della piccola e della strega e cercò di tenere fede al suo nome di ‘stronza rossa’. Colpì Baba Yaga al centro del petto con il palmo aperto della mano libera. Sentì solo fredda pietra e il dolore lancinante del polso che si spezzava ma sbilanciò la vecchia abbastanza da farla cadere all’indietro. Prese la porta con tutto lo slancio di cui fu capace e si fermò un attimo prima di cadere dentro alla serratura. Un buco nero e dentato che si era llargato fino a diventare ampio quanto metà della porta stessa. Si voltò di scatto mentre Becca perdeva la presa sui Pretty Little Pegasus e li faceva volare in aria. Scavalcò la strega che si stava rialzando mentre grugniva di frustrazione e disappunto e si gettò fuori dalla finestra alle spalle della scrivania. 
Atterò nel giardino dell’asilo e vide che lo steccato non era più di legno dipinto di una delicata sfumatura giallo pastello ma era composto da ossa, tibie e femori, come una macabra decorazione di halloween, con la sostanziale differenza che questo era reale. Scavalcò anche quella barriera con le urla di Becca nelle orecchie e la spalla indolenzita dalla caduta. Entrò sul suo pick-up Tesla e si girò verso l’edifico. Quello che vide la perseguitò per il resto della sua vita. La casa intera si sollevò di almeno sei metri, con il piccolo giardino che le pendeva attorno come una gonnella verde. A sostenere quell’abominio erano due enormi zampe di gallina, larghe come piloni di un ponte. Fece i primi passi incerti poi si scrollò la terra di dosso e iniziò a correre più velocemente mentre dalla finestra la vecchia rideva sempre più forte. 
In pochi passi fu dentro la foresta e l’unico segno del suo pasaggio erano le cime degli alberi che si agitavano. Dopo poco, nemmeno quello. 
Fu la prima volta che Amanda si scontrò con qualcosa che andava oltre la comprensione umana ma, per sua sfortuna, non fu l’ultima. 

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