domenica 29 marzo 2020

Un altro giro della spirale

Questa storia partecipa al COW-T di "Lande di Fandom" Settimana: Settima
Missione: M6

Prompt:Un altro giro di spirale
N° parole:1498


Mark Douglas Clarkson era un semplice impiegato di medio livello nella Fansfoth Elettric Company di Portland. Il suo (noioso) compito era controllare che i capitecnici controllassero i capiturno che stabilivano le mansioni degli operai addetti alle turbine. A controllare lui c’era il borioso Harold Ramasey, un pingue figuro arrivato alla sua carica praticando il più spietato leccapiedismo, ammesso che quella parola esistesse. Il lavoro di Ramasey, era “supervisionare e supportare” il lavoro di Mark. Controllarlo, in effetti. Perché una centrale idroelettrica avesse bisogno di un tale sistema piramidale, non laveva mai realmente capito. Riteneva fosse un retaggio della guerra fredda e del Maccartismo. La paranoia costante che qualche spia comunista potesse sabotare una parte vitale del sistema a stelle e strisce. Adesso suonava semplicemente anacronistico, ad essere benevoli, ma lo stipendio era regolare, il lavoro era monotono ma per nulla impegnativo e, alla fine, i ‘pro’ superavano i ‘contro’. Se si escludeva Ramsey, ovviamente. Ogni volta che Mark alzava la testa dal suo terminale per riposare gli occhi dalle schermate di dati che scorrevano incessanti, incrociava lo sguardo del suo ‘supervisore’. Odiava (a dire il vero, senza una reale ragione) le sue guance rubizze e gli occhi porcini. Il suo sguardo stolido ed assente, segno, a parere di Mark, di un ridottissimo quoziente intellettivo, e il suo costante ed ostinato silenzio, lo urtavano nell’intimo. Tre anni prima aveva chiesto il permesso di tenere accesa una piccola radiolina a transistor, in ufficio. La laconica risposta di Harold ‘palladilardo Ramasey fu “Il modulo 7B alla voce ‘proposte per il miglioramento psicofisico del personale’ è stato creato per evenienze come questa. Compilalo ed inoltralo all’ufficio preposto”. La prima reazione fu di afferrare i pochi capelli che resistevano impavidi sulla nuca di Ramasey ed usarli per ottenere una presa migliore mentre gli avrebbe sgranato i denti sul bordo della scrivania, come chicchi di mais da una pannocchia. Trasse, invece, un profondo respiro mentale e, con il miglior sorriso che riusciva a produrre, disse, in tono bonario, “, Harold, ci siamo solo io te, qui dentro. Dovrei stampare un modulo, spedirlo a Tulsa ed aspettare riposta scritta dall’ufficio personale o dall’economato. La radio è mia e la metto volentieri a disposizione in ufficio. Tra la posta e i tempi di risposta se tutto va bene, potrei ricevere l’autorizzazione formale tra due mesi. Possiamo regolarci tra noi...”. Lo sguardo che gli rivolse lo indusse a non toccare più l’argomento. Compilò il modulo 9B, lo inoltrò tramite la posta interna alla sede di Tulsa che, a sua volta, lo rispedì a Ramasey per la valutazione. Il bastardo impiegò cinque settimane per arrivare al suo modulo, in fondo alla pila di scartoffie che teneva nell’angolo della scrivania in mogano, lo tenne quattro giorni in bella vista vicino al calendario da tavolo con i gattini quindi lo firmò e lo rispedì a Tulsa. Il beneplacito ufficiale arrivò quindici giorni dopo, quando mancano sei giorni a festeggiare i tre mesi dall’invio della domanda. In calce all’autorizzazione c’era una nota che specificava che “a seguito di valutazione espressa dal supervisore in loco (H.R.) la potenza massima non avrebbe dovuto superare i 5W complessivi e il volume non avrebbe mai dovuto eccedere il 25% della potenza massima, per preservare un ambiente confortevole per tutti gli impiegati dell’ufficio”. Erano gli unici due impiegati dell’ufficio e, con le turbine a pieno regime al piano di sotto, era letteralmente come udire un bisbiglio in un uragano. In occasione della nascita del suo primo figlio, Mark aveva richiesto (tre mesi prima della data presunta del parto, tramite il solito iter) una settimana di congedo non retribuito, per seguire sua moglie Tamara e per assisstere al parto. Il buon Harold revocò le ferie a causa di un allarme di sicurezza scattato la sera prima del primo giorno dell’assenza programmata di Mark. Le leggi federali in materia di prevenzione dei disastri naturali, prevedevano che quella fosse una delle pochissime (se non la sola) evenienze in cui era possibile richiamare tutti i dipendenti da eventuali permessi, per una revisione straordinaria dell’impianto. In seguito emerse che l’allarme era scattato a seguito di una paratia di sicurezza socchiusa, vicino alla toilette dei dirigenti. Come se ‘qualcuno’ l’avesse aperta di proposito e poi avvicinati i due battenti abbastanza da non farlo notare ad una prima analisi. L’unico che aveva accesso a quell’area era Ramasey ed era facile credere che l’avesse fatto di proposito,  Ed erano solo i due aneddoti più clamorosi ma era una guerra di nervi costante. Password cambiate, mail cancellate, promozioni negate, viaggi di lavoro imposti e altri mille piccoli soprusi. Per usare un’espressione colorita cara a nonno Clarkson ‘Quello è uno stronzo che avrebbe fatto vergognare il culo da cui è uscito’. Nonostante le immaigini cruente che gli affollavano la mente nei momenti d’ira, Mark non era mai stato il tipo di persona da usare la violenza, sia per educazione che per ‘animo’. Era, però, sufficientemente scaltro da cogliere al volo un’occasione quando si presentava. Successe quando il karma bussò alla porta di Harold Ramasey il 3 aprile del 2020. La radio era sintonizzata su KLWBM (‘Notizie e approfondimenti da tutto il mondo ventiquattro ore al giorno! Solo per te, solo su KLWBM!’) e bisbigliava di un’anomala attività cosmica. Pare che in un laboratorio da qualche parte, sotto una montagna italiana, avessero individuato delle onde, provenienti dallo spazio profondo, che potevano avere impatto sullo ‘spazio-tempo’. Lo speaker, con aria ciarliera, diede la notizia tra quella del gatto che sapeva dire ‘buongiorno’ e una storia strappalacrime di una vecchietta a cui era comparso il volto di Gesù su un toast. Mark registrò l’informazione in maniera inconscia mentre compilava il foglio di calcolo dei turni di lavoro del settore 7G per il mese successivo. E non la collegò al bagliore verdastro che invase la stanza qualche ora dopo. Il lampo non sembrava arrivare dall’esterno, piuttosto sembrava che le pareti, i mobili e ogni singolo oggetto diventasse fluorescente per poi diventare traslucido per almeno due interminabili secondi. Mark si strofinò gli occhi e alzò lo sguardo verso il suo sgradito compagno, incorciando sempre quello sguardo vacuo e indecifrabile. Con il gomito urtò una matita che rotolò lungo il bordo della scrivania e cadde in terra, rotolando sotto lo schedario. Ramasey sbuffò abbozzando mezzo sorriso, come a sottolineare la goffaggine di Mark (o almeno così gli era sembrato). Quest’ultimo si alzò stancamente, senza proferire parola, si chinò ed infilò un braccio sotto lo schedario polveroso cercando di non pensare a cosa poteva toccare e... Si ritrovò seduto alla scrivania, chino sul foglio di calcolo. Non capiva se era il più vivido dejavù che gli fosse capitato o si era semplicemente immaginato tutto. Alzo (di nuovo) la testa e una matita cadde in terra e rotolò sotto lo schedario. Adesso era realmente molto confuso. Spinse indietro la sedia per alzarsi, si diresse verso lo schedario e si bloccò prima di chinarsi, titubante. Si piegò su un ginocchio e si trovò seduto al suo posto, con il monitor davantì a sé. Non era un errore o un’illusione. Cosa aveva detto il tizio alla radio? Variazioni della percezione del tempo secondo un andamento a spirale aurea o qualcosa del genre. Cercò il significato di spirale aurea su Google, inizò a fare un paio di conti approssimativi... E si trovò con i capo rivolto verso il monitor, il foglio di calcolo in primo piano, nessuna traccia del foglio o delle penne usate per calcolare ogni quanto avvenisse lo sfasamento. Cercò un approccio diverso. Fece partire il cronometro sul suo orologio, considerò tre o quattro secondi impiegati a farlo partire e lo fissò senza distogliere lo sguardo. Dodici secondi e si trovo di nuovo al punto di partenza. Ripetè la misurazione: sedici secondi, che erano diventati venti al terzo giro. Ci sarebbero volute diverse centinaia di reset affinché un giro di spirale corrispondesse ad un tempo maggiore dell’intera durata della sua vita. Ammise a se stesso che era l’ipotesi peggiore, probabilmente gli effetti erano temporanei, solo il tempo necessario a che queste ‘onde gravitali’ o comunque si chiamassero, attraversassero la Terra. Rifletté il tempo di un ciclo e poi decise di fare un esperimento azzardato. Si avvicinò alla scrivania di Harold Ramasey e, prima che potesse emettere un suono, con la sua vocina stridula, afferrò il pesante fermacarte, ricordo di una gita aziendale a Parigi a cui sarebbe dovuto andare lui, e lo scagliò con tutta la forza di cui era capace sulla testa del suo capo ufficio. Materia celebrale, sangue e piccole schegge di cranio si sparsero ovunque. Il corpa giaceva riverso, sulla sedia mentre sula tappeto, in terra, si ingrandiva una pozza di sangue. Mark visse poi i minuti più drammatici della sua vita. Se si fosse sbagliato? Se questa storia del reset temporale fosse una sua allucinazione? Se tutto non fosse tornato al suo posto? Si guardò le mani grondanti sangue e d’improvviso, senza nessun preavviso, si trovò di nuovo seduto davanti al suo PC. Sorrise. Pronto per un altro giro di spirale.

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