Questa storia partecipa al COW-T di "Lande di Fandom" Settimana: Settima
Missione: M6
Prompt:Un altro giro di spirale
N° parole:1498
Mark Douglas Clarkson era un semplice impiegato di medio livello nella Fansfoth Elettric
Company di Portland. Il suo (noioso) compito era controllare che i
capitecnici controllassero i capiturno che stabilivano le mansioni degli
operai addetti alle turbine. A controllare lui c’era il borioso Harold Ramasey, un pingue figuro arrivato alla sua carica praticando il più spietato leccapiedismo, ammesso che quella parola esistesse. Il lavoro di Ramasey,
era “supervisionare e supportare” il lavoro di Mark. Controllarlo, in
effetti. Perché una centrale idroelettrica avesse bisogno di un tale
sistema piramidale, non laveva
mai realmente capito. Riteneva fosse un retaggio della guerra fredda e
del Maccartismo. La paranoia costante che qualche spia comunista potesse
sabotare una parte vitale del sistema a stelle e strisce. Adesso
suonava semplicemente anacronistico, ad essere benevoli, ma lo stipendio
era regolare, il lavoro era monotono ma per nulla impegnativo e, alla
fine, i ‘pro’ superavano i ‘contro’. Se
si escludeva Ramsey, ovviamente. Ogni volta che Mark alzava la testa
dal suo terminale per riposare gli occhi dalle schermate di dati che
scorrevano incessanti, incrociava lo sguardo del suo ‘supervisore’.
Odiava (a dire il vero, senza una reale ragione) le sue guance rubizze e
gli occhi porcini. Il suo sguardo stolido ed assente, segno, a parere
di Mark, di un ridottissimo quoziente intellettivo, e il suo costante ed
ostinato silenzio, lo urtavano nell’intimo. Tre
anni prima aveva chiesto il permesso di tenere accesa una piccola
radiolina a transistor, in ufficio. La laconica risposta di Harold ‘palladilardo Ramasey
fu “Il modulo 7B alla voce ‘proposte per il miglioramento psicofisico
del personale’ è stato creato per evenienze come questa. Compilalo ed
inoltralo all’ufficio preposto”. La prima reazione fu di afferrare i
pochi capelli che resistevano impavidi sulla nuca di Ramasey
ed usarli per ottenere una presa migliore mentre gli avrebbe sgranato i
denti sul bordo della scrivania, come chicchi di mais da una
pannocchia. Trasse, invece, un profondo respiro mentale e, con il
miglior sorriso che riusciva a produrre, disse, in tono bonario, “Bé,
Harold, ci siamo solo io te, qui dentro. Dovrei stampare un modulo,
spedirlo a Tulsa ed aspettare riposta scritta dall’ufficio personale o
dall’economato. La radio è mia e la metto volentieri a disposizione in
ufficio. Tra la posta e i tempi di risposta se tutto va bene, potrei
ricevere l’autorizzazione formale tra due mesi. Possiamo regolarci tra
noi...”. Lo sguardo che gli rivolse lo indusse a non toccare più
l’argomento. Compilò il modulo 9B, lo inoltrò tramite la posta interna
alla sede di Tulsa che, a sua volta, lo rispedì a Ramasey
per la valutazione. Il bastardo impiegò cinque settimane per arrivare
al suo modulo, in fondo alla pila di scartoffie che teneva nell’angolo
della scrivania in mogano, lo tenne quattro giorni in bella vista vicino
al calendario da tavolo con i gattini quindi lo firmò e lo rispedì a
Tulsa. Il beneplacito ufficiale arrivò quindici giorni dopo, quando
mancano sei giorni a festeggiare i tre mesi dall’invio della domanda. In
calce all’autorizzazione c’era una nota che specificava che “a seguito
di valutazione espressa dal supervisore in loco (H.R.) la potenza
massima non avrebbe dovuto superare i 5W complessivi e il volume non
avrebbe mai dovuto eccedere il 25% della potenza massima, per preservare
un ambiente confortevole per tutti gli impiegati dell’ufficio”. Erano
gli unici due impiegati dell’ufficio e, con le turbine a pieno regime
al piano di sotto, era letteralmente come udire un bisbiglio in un
uragano. In
occasione della nascita del suo primo figlio, Mark aveva richiesto (tre
mesi prima della data presunta del parto, tramite il solito iter) una
settimana di congedo non retribuito, per seguire sua moglie Tamara e per
assisstere
al parto. Il buon Harold revocò le ferie a causa di un allarme di
sicurezza scattato la sera prima del primo giorno dell’assenza
programmata di Mark. Le leggi federali in materia di prevenzione dei
disastri naturali, prevedevano che quella fosse una delle pochissime (se
non la sola) evenienze in cui era possibile richiamare tutti i
dipendenti da eventuali permessi, per una revisione straordinaria
dell’impianto. In seguito emerse che l’allarme era scattato a seguito di
una paratia di sicurezza socchiusa, vicino alla toilette dei dirigenti.
Come se ‘qualcuno’ l’avesse aperta di proposito e poi avvicinati i due
battenti abbastanza da non farlo notare ad una prima analisi. L’unico
che aveva accesso a quell’area era Ramasey ed era facile credere che l’avesse fatto di proposito, Ed
erano solo i due aneddoti più clamorosi ma era una guerra di nervi
costante. Password cambiate, mail cancellate, promozioni negate, viaggi
di lavoro imposti e altri mille piccoli soprusi. Per usare
un’espressione colorita cara a nonno Clarkson ‘Quello è uno stronzo che avrebbe fatto vergognare il culo da cui è uscito’. Nonostante le immaigini
cruente che gli affollavano la mente nei momenti d’ira, Mark non era
mai stato il tipo di persona da usare la violenza, sia per educazione
che per ‘animo’. Era, però, sufficientemente scaltro da cogliere al volo
un’occasione quando si presentava. Successe quando il karma bussò alla
porta di Harold Ramasey il 3 aprile del 2020. La
radio era sintonizzata su KLWBM (‘Notizie e approfondimenti da tutto il
mondo ventiquattro ore al giorno! Solo per te, solo su KLWBM!’)
e bisbigliava di un’anomala attività cosmica. Pare che in un
laboratorio da qualche parte, sotto una montagna italiana, avessero
individuato delle onde, provenienti dallo spazio profondo, che potevano
avere impatto sullo ‘spazio-tempo’. Lo speaker, con aria ciarliera,
diede la notizia tra quella del gatto che sapeva dire ‘buongiorno’ e una
storia strappalacrime di una vecchietta a cui era comparso il volto di
Gesù su un toast. Mark registrò l’informazione in maniera inconscia
mentre compilava il foglio di calcolo dei turni di lavoro del settore 7G
per il mese successivo. E non la collegò al bagliore verdastro che
invase la stanza qualche ora dopo. Il lampo non sembrava arrivare
dall’esterno, piuttosto sembrava che le pareti, i mobili e ogni singolo
oggetto diventasse fluorescente per poi diventare traslucido per almeno
due interminabili secondi. Mark si strofinò gli occhi e alzò lo sguardo
verso il suo sgradito compagno, incorciando
sempre quello sguardo vacuo e indecifrabile. Con il gomito urtò una
matita che rotolò lungo il bordo della scrivania e cadde in terra,
rotolando sotto lo schedario. Ramasey
sbuffò abbozzando mezzo sorriso, come a sottolineare la goffaggine di
Mark (o almeno così gli era sembrato). Quest’ultimo si alzò stancamente,
senza proferire parola, si chinò ed infilò un braccio sotto lo
schedario polveroso cercando di non pensare a cosa poteva toccare e...
Si ritrovò seduto alla scrivania, chino sul foglio di calcolo. Non
capiva se era il più vivido dejavù
che gli fosse capitato o si era semplicemente immaginato tutto. Alzo
(di nuovo) la testa e una matita cadde in terra e rotolò sotto lo
schedario. Adesso era realmente molto confuso. Spinse
indietro la sedia per alzarsi, si diresse verso lo schedario e si
bloccò prima di chinarsi, titubante. Si piegò su un ginocchio e si trovò
seduto al suo posto, con il monitor davantì
a sé. Non era un errore o un’illusione. Cosa aveva detto il tizio alla
radio? Variazioni della percezione del tempo secondo un andamento a
spirale aurea o qualcosa del genre. Cercò il significato di spirale aurea su Google, inizò
a fare un paio di conti approssimativi... E si trovò con i capo rivolto
verso il monitor, il foglio di calcolo in primo piano, nessuna traccia
del foglio o delle penne usate per calcolare ogni quanto avvenisse lo
sfasamento. Cercò un approccio diverso. Fece partire il cronometro sul
suo orologio, considerò tre o quattro secondi impiegati a farlo partire e
lo fissò senza distogliere lo sguardo. Dodici secondi e si trovo di
nuovo al punto di partenza. Ripetè
la misurazione: sedici secondi, che erano diventati venti al terzo
giro. Ci sarebbero volute diverse centinaia di reset affinché un giro di
spirale corrispondesse ad un tempo maggiore dell’intera durata della
sua vita. Ammise a se stesso che era l’ipotesi peggiore, probabilmente gli effetti erano temporanei, solo il tempo necessario a che queste ‘onde gravitali’ o comunque si chiamassero, attraversassero la Terra. Rifletté il tempo di un ciclo e poi decise di fare un esperimento azzardato. Si avvicinò alla scrivania di Harold Ramasey
e, prima che potesse emettere un suono, con la sua vocina stridula,
afferrò il pesante fermacarte, ricordo di una gita aziendale a Parigi a
cui sarebbe dovuto andare lui, e lo scagliò con tutta la forza di cui
era capace sulla testa del suo capo ufficio. Materia celebrale, sangue e
piccole schegge di cranio si sparsero ovunque. Il corpa
giaceva riverso, sulla sedia mentre sula tappeto, in terra, si
ingrandiva una pozza di sangue. Mark visse poi i minuti più drammatici
della sua vita. Se si fosse sbagliato? Se questa storia del reset
temporale fosse una sua allucinazione? Se tutto non fosse tornato al suo
posto? Si guardò le mani grondanti sangue e d’improvviso, senza nessun
preavviso, si trovò di nuovo seduto davanti al suo PC. Sorrise. Pronto per un altro giro di spirale.
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