Questa storia partecipa al COW-T di "Lande di Fandom"
La luce del lampione tremò leggermente, al suo arrivo, mentre un piccolo boom sonico, dovuto allo spostamente d'aria, annunciava la sua presenza in questo piano di realtà.
Settimana: prima
Missione: M1
Prompt:"Sometimes good things fall apart so better things can fall together.
Every story has an end, but in life every end is just a new beginning."
Every story has an end, but in life every end is just a new beginning."
N° parole: 2014
La luce del lampione tremò leggermente, al suo arrivo, mentre un piccolo boom sonico, dovuto allo spostamente d'aria, annunciava la sua presenza in questo piano di realtà.
Sospirò sconfortato quando vide l'insegna al neon che
annunciava “IL TUO SOLE H24”. Che orribile cliché, mormorò assorto. Varcata la
soglia, gli si fece incontro un odore acre, di sudore e sporcizia e una zaffata
di calore potente e secca, da mozzare il fiato. Dietro il bancone c'era una
figura alta, con una folta chioma bionda scarmigliata e due occhi del colore
del cielo che parevano scrutare fin nell'anima dello straniero, posto che ne
avesse una. Con un ampio e sincero sorriso, salutò il nuovo arrivato.
“Benvenuto al centro abbrozzantura Febo! Il tuo sole personale 24 ore al
giorno, sette giorni alla settimana! Vuole prenotare una sessione?”
Lo straniero sbuffò, palesemente seccato. “Helios, giusto?
Sappiamo entrambi che sono qui, ora, perché mi hai chiamato. Mi sarei rifiutato
se avessi potuto, ma, evidentemente, hai amicizie potenti. Smettila di perdere
tempo e dimmi perché ti servo”.
“Corvus, amico mio, siamo fatti di rituali e convenzioni.
Cosa saremmo se non recitassimo la nostra parte? Non aver timore: non ti ruberò
più tempo di quanto non sia necessario. Sono ansioso quanto te di risolvere
questo spaicevole inconveniente. Se avrai la cortesia di seguirmi nel
retrobottega ti spiegherò qual è il problema.”
Il biondo aveva ragione, Corvus lo sapeva e, nonostante ciò,
era sempre stato reticente a rispettare le formalità legate al suo ruolo. Anche
facendo autoanalisi, non riusciva ad individuarne una ragione precisa.
Immaginava che con il passare del tempo, ogni novità si trasformasse in routine
e poi la noia sopraggiungesse a coprire tutto.
Helios guidò il suo restio compagno attraverso un dedalo di
di corridoi e stanze in cui giacevano, inutilizzati, diversi lettini per
abbronzatura. La scarsa luce e le modeste condizioni in cui versavano, li
facevano apparire come lucidi sarcofagi dimenticati da qualche civiltà
tecnologicamente avanzata. Giunsero, infine, ad una massiccia porta in legno,
scheggiata e consunta, rinforzata da due imponenti bande in ferro battuto.
Il titano sorrise e, spalancando la porta, annunciò
“Benvenuto Traghettatore, nella mia umilissima dimora terrestre”.
Ovviamente la sua dimora non era terrestre, non era umile
e Corvus non era esattamente benvenuto.
“Convenzioni e rituali” borbottò disgustato.
Oltre la soglia si apriva uno spazio non euclideo che era un
tripudio di marmi bianchi, fontane zampillanti, giardini pensili e tempietti in stile classico. La visione
avrebbe portato alla follia qualsiasi mortale: la mente umana non era in grado
di concepire dimensioni fisiche oltre la terza e avrebbe dato forfait
nell'equivalente organico di una schermata blu di Windows.
Si accomodarono su due piccole sedute in cuoio e legno di
ciliegio, al centro di una sfera esadimensionale di edera e ortensie. Entrarono
attraverso un varco di forma regolare, delimitato da due colonne doriche. Tra i
due si materializzò un piccolo tavolo rotondo in bronzo su cui erano appoggiate
due coppe colme di un liquido dorato, denso e fresco, a giudicare dalla gocce
di condensa che si stavano formando sulla superficie dei contenitori.
Il titano osservò il suo interlocutore, aprofittando della
luce brillante e diffusa del suo sancta santorum. Aveva l'aspetto di un uomo
alto e magro con capelli lisci e
nerissimi che coprivano le orecchie fino ai lobi e si dividevano
ordinatamente in una riga centrale sulla sommità del capo. Indossava vestiti
scuri in stile vittoriano con un un lungo soprabito scuro, completamente
sbottonato che cadeva, con studiata irregolarità, sulle gambe e ai lati della
sedia.
Corvus, da quanto si diceva in giro, non disponeva di poteri
o di un ambito su cui esercitare il proprio domino ma era egualmente molto
temuto. Una profezia, a lui legata, gli attribuiva un ruolo cruciale alla fine
dei tempi. In ogni caso era la personificazione della forza del Caos: la
saggezza imponeva di non sottovalutarlo. Quando il Principio di Casualità incontra
la necessità del Fato Corvus assume forma fisica e, guidato dalla sua missione,
risolve questioni che coinvolgano divinità maggiori. Vederlo in azione è una
rarità anche per esseri le cui età si misurano in eoni ed evocarlo è
praticamente impossibile, tanto meno costringerlo a compiere un'azione
specifica.
Helios, quindi, ricordò a se stesso di esercitare la massima
cautela possibile. Il suo carattere era la definizione stessa di “impulsivo ed
irruento”. Due caratteristiche decisamente poco adatte all'occasione.
Sorseggiando l'ambrosia, fingendo noncuranza, esordì. “Ho
sentito che i norreni si stanno agitando, a Nord. Strano che tutto si sia messo
in modo allo stesso tempo, vero?”
La bocca di Corvus s'increspò in quello che poteva sembrare
un sorriso. “Déi, titani, entità superiori ed immortali e vi ostinate a
considerare 'caso' quello che non capite. Tipico di chi percepisce il tempo
come un fiume che scorre in una sola direzione. Ho incontrato Heimdall prima di
venire a conciliabolo da te. Gestisce un rifugio alpino alla base del Galdhøpiggen. Dice
che non ha mai visto un inverno così freddo da quelle parti. Un'affermazione
interessante per uno degli déi primigeni di questo pianeta.”
Helios poggiò la coppa con cautela. La sua mano tremava.
Il traghettatore di anime strinse le spalle “Fa differenza?
È scritto che nessun dio può fermare la fine del mondo. Questo tratto è comune
a tutte le culture e, lasciamelo dire, non solo su questa inutile palla di
fango ne solo in questo piano d'esistenza.” Bevve l’ambrosia senza fretta in un
silenzio innaturale, rotto solo dal cinguettio di qualche uccello in
lontananza. “Non capisco, so che è un mio limite, diciamo. Questo è già il
conciliabolo? Hai solo bisogno di notizie sugli ‘altri’?”
“No, no…” Il titano scosse il capo con decisione. La folta
chioma si agitò come se fosse dotata di vita propria. “ Ho avvertito un calo
del mio potere ho creduto fossero i dodici dell’Olimpo. Credevo che il mio
cugino che ama giocare con i fulmini stesse tramando qualcosa. D’altro canto ha
sempre cercato di sostituirmi con suo figlio. Ma questo… Il Ragnarok… I segni,
tutto combacia. Dobbiamo avvisare tutti. Subito.”
“Tutti… Bastet se la passa bene, se permetti il termine.
Capirai… Gattini ovunque… Afrodite lavora in un bordello a Budapest. Efesto
forgia smartphone. Lancerà una linea sua l’anno venturo. Saranno sigillati
perché, di fatto, è ampiamente basato su un pentacolo e un ciuffo di peli di
alcuni buoi sacri del Peloponneso. Francamente credo sarà un disastro con i
centri d’assistenza ma lui è fiducioso.” Corvus sorrise, continuando “Gli
orientali hanno sempre giocato in un campionato a parte, se mi concedi la
metafora. Yamata no Orochi continua a mangiare belle ragazze ogni volta che
Susanoo si distrae. Quando diverrà abbastanza grande… Sappiamo cosa succederà.
Niente di cui essere preoccupati, per ora. C’è tutto il tempo per la tua
questione con Zeus.”
Helios sospirò ed iniziò ad esporre la sua supplica. Parlò a
lungo, senza quasi fermarsi. Corvus rimase immobile, gli occhi neri come la
pece puntati su quelli del titatno. Due pozzi senza fondo che parevano volerlo
inghiottire. Quando ebbe terminato, il pallido straniero piegò la testa da un
latocorrugò la fronte, come assorto ed infine, con la stessa calma con la quale
si usa spiegare un concetto ad un bimbo disse: “Il mio ruolo ti è chiaro? Sai
chi sono?”. L'imponente dio dalla chioma leonina parve stupito “Sì. Sei Corvus
il traghettatore d'anime, agente del Fato.”
“Sono alcuni dei nomi con i quali sono conosciuto, ma sai
cosa significa? Io sono una zattera in mezzo al fiume. Arriverò a destinazione,
è certo, ma la mia capacità di manovra è limitata, sebbene la forza che mi
spinge è inarrestabile”. Helios parve esitare per un istante poi, con voce
tremante, per la prima volta in milioni d'anni, con un tono appena udibile “Va
bene.”
L'essere che sembrava un uomo pallido, alto e magro si alzò in
piedi ed era in un bar della Florida, in Nord America. Ora indossava una divisa
da aviatore e i gradi di capitano. Nessuno l'aveva visto comparire: nel momento
in cui si era materializzato al centro della stanza, per una frazione di
secondo ogn'uno degli avventori stava guardando in un'altra direzione. Il fiume
stava scorrendo. Si avvicinò al bancone e spostò una ciotola di arachidi vicino
a due militari che stavo bevendo un paio di birre poi, senza fretta uscì dal
locale.
La porta si spalancò sulla fredda notte kazaka. I suoi
capelli, stavolta biondi e corti, erano coperti da un pesante colbacco. Un
soldato, vicino alla recinzione che delimitava la base di Baikonur, fumava una
sigaretta d'importazione scrutando il cielo. Due lepri cercavano riparo l'una nell'altra
in un piccolo buco nel terreno. Corvus si avvicinò loro, e, sollevando il
reticolato, li fece passare oltre. Fece un passo indietro e la sua scarpa di vernice lucida si posò sul
soffice tappeto della Sala Ovale. Con un piccola mossa scostò il cavo della
“linea rossa” abbastanza da non fargli fare contatto ma non troppo da staccarlo
dal muro.
Nelle ore successive visitò numerosi luoghi, senza sapere
quale fosse il successivo ne cosa dovesse fare di preciso finché l'idea di
un'azione esplodeva nella sua testa come un lampo al magnesio e, immediatamente
dopo, si trovava in un altro quando.
L'ultimo posto che visitò fun una sperduta strada di
periferia in un altrettanto sperduta cittadina europea. Lasciò socchiuso un
portone d'ingresso. Giusto un palmo: spazio sufficiente perché un cane vi si
intrufolasse (o attraverso il quale potesse fuggire) ma non troppo da essere
notato. Guardandosi attorno, vide un muretto di sassi e fece per sedersi, solo
per ritrovarsi nella casa di Helios.
Il titano era visibilmente confuso. Dalla sua prospettiva
Corvus si era solo alzato in piedi e seduto nuovamente.
“Fatto. Il pilota designato per la prima missione di terraformazione
è morto per una nocciolina incastrata in gola, alcuni vettori lanciati per
studiare le aurore boreali verranno scambiati per missili balistici, il
presidente russo non riuscirà a chiamare il suo omologo americano in tempo e
questo darà il via ad un conflitto nucleare su scala globale. Un cortocircuito,
causato da alcuni fili elettrici masticati, spegnerà la Città delle Stelle in
Kazakistan. Un ragazzino, destinato a progettare il primo motore a velocità
iper-luce morirà travolto da un’auto mentre cercherà di salvare il suo cane,
fuggito dalla casa di campagna dei suoi genitori. Il mondo intero si ritroverà,
nel giro di una generazione, regredito di migliaia d’anni, dal punto di vista
della tecnologia”. Sorrise e il suo sorriso sembrava una tagliola. “Adesso la
palla è vostra. Se riuscirete a convincere gli umani rimanenti a pregare per
voi, ci sarà un nuovo inizio e, forse, una nuova età dell’oro, colma di
meraviglie. Magia e fede anziché scienza e tecnologia.”
Helios sembrava sollevato. “Quanto mi costeranno i tuoi
servigi?” chiese. “Nulla” rispose il traghettatore. “Non puoi darmi niente che
mi interessi. Per ora.” Scomparve con un piccolo spostamento d’aria, com’era
arrivato, lasciando dietro di se solo un titano meditabondo.
Nello spazio tra il tempo Corvus riposava. Il suo compagno,
Colui Che Non Dovrebbe Esistere, lo fissava in silenzio. Utilizzando suoni che
avrebbero fatto impazzire qualunque dio o umano li avesse uditi, chiese “Qualcuno
ha capito?” “Come avrebbero potuto? La loro visione è limitata. I loro sensi,
il loro intelletto… Trovo stupefacente siano durati così a lungo.”.
Colui Che Non Dovrebbe Esistere riflettè per diverse
centinaia d’anni e poi, nel tempo che una foresta impiega per crescere disse “Come finirà?”.
Corvus, che preferiva essere chiamato Il Caos Strisciante, emise dei versi
gutturali lenti e misurati per diverse decine d’anni terrestri, la cui
traduzione poteva essere "Tutte le storie
hanno una fine, ma nella vita ogni fine è soltanto un nuovo inizio. La vita è
difficile da estirpare. Ho avviato una catena di eventi che inaspriranno la
guerra tra gli déi. Helios diventerà una supernova e disintegrerà il sistema
solare. In pochi miliardi di anni le polveri si addenseranno in nuovi pianeti,
uno di loro collasserà su se stesso e diventerà una stella. Ci saranno due
pianeti pronti ad ospitare la vita ma nessuno di essi verrà raggiunto da
divinità. Questa volta la vita sarà abbandonata a se stessa. Possiamo dormire,
per un po’.”
Nel buio, al centro della galassia, ci fu silenzio.
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